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  La dichiarazione e l’annuncio aprono due questioni molto discusse negli ultimi anni: le censure alle immagini di donne che allattano al seno e gli annunci pubblicitari ideati soltanto per partecipare a festival sulla creatività.

Tutto ha avuto inizio quando Facebook ha inserito tra le sue regole “il divieto di pubblicare foto di donne che allattano al seno”. L’opinione pubblica si è divisa, molti pensano che questa regola sia un atto ipocrita del social network in quanto altre forme di nudità femminile (veicolate attraverso video musicali, scene di film o immagini dalle passerelle) vengono regolarmente lasciate fuori da ogni regolamento (in quanto definite arte).

Ma la questione è da sempre uno dei tabù maggiormente discussi. Le donne si dividono tra quelle che lo considerano un atto intimo e come tale da svolgere in privato e quelle che non hanno alcuna remora a mostrarsi allattare in pubblico. Dal punto di vista medico qualsiasi forma di regolamentazione non ha alcun senso di esistere:

“L’allattamento al seno non ha orari fissi, nè un numero definito di poppate nell’arco della giornata. Di qui la necessità di sdoganarlo in pubblico.”

Maria Enrica Bettinelli, pediatra (a Corriere della sera.it)

Mentre nei paesi occidentali non esistono vere e proprie leggi che vietano l’allattamento in pubblico, sempre più donne vivono con angoscia questa situazione soprattutto nel rapporto con enti privati. Nel 2007 fece scandalo la storia di Cindy Piccard a cui fu chiesto, mentre allattava suo figlio al museo Prado , di “spostarsi nella caffetteria o alla toilette”. Dopo pochi giorni Cindy tornò al museo con una ventina di mamme e insieme allattarono i loro figli in mezzo ai tanti visitatori domenicali.

La questione delle “pubblicità fantasma”, campagne fittizie prodotte solo per ottenere premi e mai viste dal pubblico, è sempre più centrale tra le discussioni sull’advertising moderno. Oggi i festival in giro per il mondo premiano sempre più lavori che hanno il coraggio di affrontare temi nuovi e spingersi oltre il tradizionale tunnel cognitivo. Ma le agenzie, e sopratutto i clienti, quanto possono investire su queste “campagne innovative”, spesso talmente innovative che il pubblico non è pronto a comprenderle?

Poco si direbbe. Circa il 10% delle campagne presentate alle competizioni sono create esclusivamente per ampliare il numero di trofei e l’ego delle agenzie. La pianificazione di queste campagne risulta minima, per alcuni con esposizioni media ridicole (una o due volte).

Fonte: ninjamarketing.it
Autore: Massimo Sommella

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